Pietro Marussig, dalla pittura intimista degli anni in terra giuliana, è entrato nella scena dell’arte milanese della prima metà del Novecento
Piero Marussig. Camera con vista su Trieste
Il Civico Museo Sartorio è una elegante villa borghese dell’Ottocento, oggi di proprietà comunale, divenuta “casa museo” nel 1947 grazie al lascito testamentario di Anna Segrè Sartorio.
Al suo interno negli arredi, nelle opere d’arte e negli oggetti di uso quotidiano convivono gli stili Impero e Biedermeier, sino al revival storico, neo-rococò e neogotico.
Negli spazi della villa si tengono anche mostre temporanee promosse dal comune di Trieste.
Dall’8 luglio viene presentata la mostra Piero Marussig. Camera con vista su Trieste a cura della storica dell’arte Federica Luser per Trart.
Pietro Marussig (Trieste 1879 – Pavia 1937) è stato un pittore che può essere considerato mitteleuropeo.
L’artista infatti ha girato molto, nel 1889 era Vienna poi a Monaco dove ha iniziato la sua formazione artistica aderendo alla Secessione monacense e assorbendo alcuni aspetti dell’espressionismo tedesco.
Soggiorna qualche anno a Roma, a Parigi, a Trieste fino a stabilirsi a Milano nel 1920 dove è stato tra i promotori del gruppo dei Sette pittori del Novecento.
Nella sua produzione artistica ha realizzato paesaggi, ritratti e vedute d’interno caratterizzati da una salda resa plastica e da una morbida luminosità.
La mostra presenta due momenti salienti dell’opera di Marussig, quello degli anni trascorsi a Trieste (1906-1919) e quello Milanese (dal 1920).
Le opere degli anni trascorsi a Trieste riflettono la sua percezione di un «macrocosmo racchiuso nel microcosmo della sua casa, dove interno ed esterno, natura e città, vita privata e vita sociale coincidevano.
Infatti, come di lui scrive Elena Pontiggia,” Per un pittore intimista, anzi intimo come lui, la natura non superava i perimetri, pur ampi, del suo giardino e per dipingere la vita gli bastavano le figure e le cose che vedeva nelle sue stanze, sulla spianata di ghiaia bianca davanti alla villa, nel parco di alberi e piante che la circondavano”.
Del periodo di Milano si ricorda la partecipazione al vivace salotto intellettuale di Margherita Sarfatti, che contribuì a farlo conoscere dalla critica e dai principali galleristi.
A Milano sente l’influenza dei colleghi artisti con cui viene a contatto (da Funi a Oppi, a Sironi, a Carrà) e abbandona il colore espressivo e dà maggiore solidità alle sue figure, trasformando quella intima quotidianità tipica delle opere “triestine”, in una dimensione sospesa e idealizzata.
La mostra è come un bel ritorno a casa dell’artista triestino di nascita.