LA SBORNIA

Io mi interesso per trovare il posto” dice il più anziano del gruppo dei Portici, quello che aveva un Laverda50 e si poteva quindi muovere con più facilità rispetto a tutti noi

LA SBORNIA

 

La sbornia
la sbornia

 

Io mi interesso per trovare il posto” dice il più anziano del gruppo dei Portici, quello che aveva un Laverda50 e si poteva quindi muovere con più facilità rispetto a tutti noi non ancora maggiorenni e privi comunque di mezzi a motore. Anche l’amico del Laverda 50 era minorenne ma superava, come noi peraltro, i 16 anni e quindi poteva guidare il motorino fino a 50cc di cilindrata. I suoi avevano deciso di regalargli il motorino alla promozione di giugno. Noi invece dovevamo accontentarci della bicicletta chi per indisponibilità finanziaria chi per netto rifiuto dei genitori.

Devi trovare un luogo spazioso, comodo, magari con più stanze, in un posto fuori mano ma non troppo lontano dal centro visto che ci dovremo arrivare in bicicletta” dicemmo tutti.

Certo non avevamo la fortuna del gruppo dei “vecchi dei Portici”, quelli che passeggiavano come noi sotto i portici della città, ma erano maggiorenni e due di essi anche in possesso di macchina: uno aveva una Cinquecento e un altro poteva utilizzare nei giorni di festa il furgone della ditta di famiglia.

Loro sì che, con la Cinquecento, potevano andare dove volevano al mare, in montagna in campagna. A volte noi ci chiedevamo com’era possibile far entrare 7 persone in quella “scatola di Sardine” a quattro ruote per andare al mare. Lo raccontavano talmente convinti che non potevamo che crederci.

Sta di fatto che gli unici mezzi di trasporto su cui potevamo contare noi erano 6 biciclette, neppure tutte da uomo, e un motorino Laverda 50 che non poteva portare passeggeri oltre il guidatore.

Eravamo ai primi giorni di dicembre del 1965 e questo argomento sarebbe stato al centro di tutti i nostri pensieri e dei nostri incontri. Si preparava il “festino” dell’ultimo dell’anno.

L’amico che frequentava l’Istituto tecnico Commerciale, meglio noto come Ragioneria, era l’esperto contabile del gruppo.

7 noi, 7 le ragazze, dovremo procurarci bibite e cibarie per 14 persone. Mettiamo in conto anche qualche bottiglia di liquore per rendere più fluida la serata” disse. Concordammo e fu incaricato il figlio del negoziante, “esperto in materia” a provvedere, come abitudine, a fare l’elenco delle cose da comprare e preparare un preventivo. Tutti ci impegnammo a cercare a casa cosa potesse servire per la serata al fine di abbassare i costi, ma l’attenzione di tutti fu rivolta ad individuare le ragazze da invitare.

Ognuno disse la sua. La difficoltà era data dal fatto che dovevamo cercare ragazze più giovani di noi, perché le nostre coetanee non ci degnavano neppure di uno sguardo e avevano gli occhi solo per i più grandi, i “vecchi” dei portici, ma non solo. Loro guardavano con interesse quelli che già lavoravano e avevano disponibilità di soldi e di auto personale con cui potevano andare dove volevano.

Noi eravamo costretti a cercare ragazze talmente giovani che o erano ancora appiccicate alle gonne della mamma o erano tenute d’occhio con rigore dal padre. Immaginarsi la difficoltà di averle fuori casa per la notte dell’ultimo dell’anno!

Comunque, non ci perdemmo d’animo; “il conosco la sorella di…” diceva uno, “mia madre è amica della madre di…” aggiungeva un altro; mancava solo un “mio zio carabiniere le farà venire senza ombra di dubbio”. Passarono una decina di giorni e ciascuno arrivò con i suoi nomi, su quali però non ci fu l’unanimità.

“Quella è troppo brutta e grassa” diceva uno, e un altro aggiungeva “quella è troppo oca, e poi ci sta con tutti, non c’è neanche il piacere della conquista” Su alcune delle ragazze queste erano le critiche più benevole

Facemmo a fatica una selezione e a metà dicembre avevano nomi e indirizzi di 7 ragazze che avevano superato l’esame del gruppo.

Intanto il figlio del negoziante aveva preparato l’elenco delle cose necessarie con due sub elenchi, quello delle cose che si potevano portare da casa e quello delle cose da comprare, con relativo preventivo di spesa.

Una bella cifra per noi, squattrinati, che dovevamo vivere della paghetta dei genitori e di qualche contributo sottobanco dei nonni!

Comunque, la cifra fu divisa per sette, in parti uguali, senza alcuna considerazione delle condizioni economiche delle rispettive famiglie. Nel gruppo dei Portici infatti ci sentivamo tutti uguali, senza il bisogno di indottrinamenti o ideologie.

Ora cominciava la parte più difficile, contattare le ragazze convincere loro e poi i loro genitori chiamati non solo a dare il proprio nulla osta che le proprie giovani figlie facessero le ore piccole in compagnia di 7 studenti “senza né arte né parte “ma anche ad essere disponibili ad accompagnare e venire a riprendere le figlie, visto che non potevamo certo portarle sul ferro della biciclette, che pure era servito in altre occasioni per trasportare qualcuno.

Le feste natalizie si avvicinavano velocemente e tutti ci attivammo per convincere le ragazze a venire al “festino” di fine anno, il 27 dicembre durante la passeggiata eravamo talmente accaldati nel fare il punto della situazione che non sentivamo il vento freddo e il nevischio che ci gelavano il sangue.

Posto trovato, è una casa libera in campagna, non lontana dalla prima periferia” riferì il ragazzo del motorino aggiungendo che i proprietari erano amici di suo padre e si erano da pochi giorni trasferiti in Svizzera per lavoro. C’era acqua, luce e riscaldamento e una grande sala con caminetto che si adattava perfettamente alle nostre aspettative di ballo e altro.

Il “ragioniere” , che aveva fatto i conti alla lira cominciò a raccogliere i soldi e distribuirli per i diversi acquisti programmati. Non si fecero economie, soprattutto in liquori. Le ragazze sarebbero arrivate cinque accompagnate dai genitori e due per proprio conto, in bicicletta, perché non abitavano lontano dalla casa.

Arrivò il 31 dicembre, fu una giornata di intensa attività per il gran numero di viaggi che dovevamo fare in bicicletta per portare festoni, piatti, bicchieri, posate, tovaglioli, bottiglie di plastica e di vetro e poi sacchetti di patatine, “bagigi”, pop corn rigorosamente super salati per favorire la sete e ancora vassoi di panini e tartine di vari tipi, tra cui alcune con le preziose palline nere che mai avremmo detto essere il famoso caviale, sott’aceti, olive , frutta.

Il gusto del cibo non era certo una nostra qualità ma eravamo comunque convinti di essere dei raffinati. Uno aveva anche portato due termos di caffè bollente.

C’era dunque da mangiare e da bere per 14 persone per diversi giorni.

Le cassette di dischi 45 giri e il giradischi furono portati nel portapacchi del motorino.

Alle 18.00 la sala era pronta con palloncini colorati, festoni che pendevano dal soffitto, strutture di oscuramento delle luci, tavole imbandite con tovaglie e tovaglioli ben ordinati, anche questi rigorosamente colorati. L’appuntamento per l’inizio della festa era fissato alle nove di sera, tutto il tempo per correre a casa, farsi un bel bagno, profumarsi e farsi belli.

Alle otto e mezza eravamo già tutti sette pronti per accogliere le ragazze e fare “cose folli”.

Eravamo tutti eccitati e, nell’attesa, il livello della bottiglia di Whisky cominciò a segnare qualche flessione.

Arrivarono le nove di sera; nessuna in arrivo.

Si stanno facendo belle per noi, arrivano certamente e poi sono donne e vogliono farsi attendere” ci dicevamo fiduciosi. Ognuno poi giustificava ancor di più il ritardo della ragazza che avevano contattato.

Alle nove e mezza non si vedeva ancora nessuno, la preoccupazione cresceva mentre il livello dell’Whisky continuava a calare, ma eravamo ancora speranzosi e allegri.

Alle dieci le speranze cominciavano a mostrare qualche crepa,

Forse ha avuto un contrattempo ma vedrete che arriva” dicevano due di noi, insistendo sulla serietà dell’impegno preso. Poi si scoprì che con le ragazze non avevano parlato loro, ma si erano solo parlate tra le mamme.

Quando alle undici non si vide ancora nessuna, la speranza svanì del tutto e dovemmo affrontare la consapevolezza che ci era “andata buca”: eravamo lì, in una casa di campagna, sette disperati, un po’ brilli, a fare festa, per cosa? Forse del nostro evidente fallimento di aspiranti “Dongiovanni – sciupafemmine”?

La bottiglia di Whisky era vuota, tartine e panini erano finiti, restavano il pan carré e le tartine al prezioso caviale poco adatte ai nostri palati. Da bere restavano Coca Cola, Aranciata e qualche birra, oltre alle bottiglie di spumante per la mezzanotte e la bottiglia integra di Gin.

Cominciammo a bere Gin, prima con tanta Coca Cola, poi liscio; lo pasteggiavamo con pan carré. Arrivò mezzanotte e brindammo con le due bottiglie di spumante dolciastro che avevamo conservato per il botto del nuovo anno. Allora ci accorgemmo che nessuno si era pensato del panettone, ma ormai a chi importava? Finì anche il pan carré, poi verso l’una brindammo con le ultime gocce di Gin.

Nessuno di noi seppe dire come arrivammo a casa.

Io ricordo solo che in tarda mattinata di capodanno mi alzai a fatica e, con un terribile mal di testa, andai alla ricerca della bicicletta percorrendo a piedi il percorso verso la casa della “festa”. La trovai in un fosso, non lontano dalla casa ma vicina ad altre bici.

Per alcuni giorni ogni scusa era buona per saltare la passeggiata delle 18 e poi, per un bel pezzo, nessuno di noi parlò di quella terribile sbornia di fine anno.

 

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