Ligabue, oltre le fuorvianti definizioni di naïf o di artista segnato dalla follia, va considerato un esponente di rilievo dell’espressionismo tragico di valore europeo.
Antonio Ligabue. L’uomo, l’artista
Dall’11 febbraio lo spazio dell’Orangerie di Villa Reale di Monza propone una grande mostra, Antonio Ligabue. L’uomo, l’artista, a cura di Sandro Parmiggiani.
La mostra celebra il genio dell’artista nato a Zurigo nel 1899 e scomparso a Gualtieri (Reggio Emilia) nel 1965.
Sono esposte 90 opere, tra dipinti, sculture, disegni e incisioni che ripercorrono la sua vicenda umana e creativa, lungo un arco cronologico che dagli anni venti del secolo scorso giunge fino al 1962, quando una paresi pose di fatto fine alla sua attività.
L’esposizione si snoda attraverso i due poli principali lungo i quali si è sviluppato il suo percorso artistico: gli animali, selvaggi e domestici, e i ritratti di sé.
Non mancano tuttavia altri soggetti come le scene di vita agreste o i paesaggi padani, nei quali irrompono, come un flusso di coscienza, le raffigurazioni dei castelli, delle chiese, delle guglie e delle case con le bandiere al vento sui tetti ripidi della natia Svizzera, dov’era nato e dove aveva vissuto fino al 1919.
Un’attenzione particolare è rivolta dal curatore agli autoritratti, fortemente espressivi,” che dicono tutta la sofferenza dell’artista; ne sentiamo quasi il muto grido nel silenzio della natura e nella sordità delle persone che lo circondano.
Quando perduta è ogni speranza, ormai fattasi cenere, il volto non può che avere questo colore scuro, fangoso, questa sorta di pietrificazione dei tratti che il dolore ha recato con sé e vi ha impresso”.
La mostra propone alcuni dei suoi più importanti capolavori come Caccia grossa (1929), Circo (1941-42), Tigre reale, realizzato nel 1941 quando Ligabue era ricoverato nell’Ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia.
Inoltre, Leopardo con serpente (1955-56), Autoritratto con cavalletto (1954-55), e ancora alcuni dipinti scelti tra la sua impressionante serie di autoritratti, come Autoritratto con spaventapasseri (1957-58) e Autoritratto (1957).
L’esposizione costituisce un ulteriore capitolo per riportare il lavoro di Ligabue a una corretta valutazione critica e storica: un’occasione per riaffermare, al di là delle fuorvianti definizioni di naïf o di artista segnato dalla follia, il fascino di questo “espressionista tragico” di valore europeo, che fonde esasperazione visionaria e gusto decorativo.