I MARINARETTI

Eravamo nell’estate tra la seconda e la terza media e frequentavamo la stessa scuola, anche se alcuni in classi diverse

I MARINARETTI

 

"Trilly" ©Pikasus
“Trilly” ©Pikasus

 

Dopo qualche anno saremo diventati gli amici dei Portici, ma a dodici anni non potevamo ancora uscire liberi nel tardo pomeriggio fino all’ora di cena per passeggiare nel centro della città.

L’Estate per noi cominciava il primo giorno dopo la fine dell’anno scolastico, normalmente verso metà giugno.

Estate non voleva però ancora dire automaticamente mare, spiaggia, campeggio, avventure.

Alla nostra età eravamo tuttavia liberi di bigellonare di giorno con l’obbligo di essere a casa prima dell’ora di cena.

Al caldo estivo si poteva rispondere con l’acqua. Ma solo uno di noi sapeva nuotare , o almeno sapeva stare bene a galla. Il figlio di quello con il negozio in centro aveva infatti parenti dalle parti di Bassano. Andava spesso a trovare i parenti ove si fermava anche intere settimane. Quando rientrava si beava nel raccontarci le sue avventure nella piscina del paese, frequenza che comunque gli permetteva di stare a galla e di muoversi abbastanza bene in acqua.

Gli altri, io compreso, non sapevamo neppure stare a galla.

Guardavamo e a volte seguivamo i ragazzi più grandi che andavano a nuotare nel fiume. A noi veniva offerta l’opportunità di entrare in acqua  ma non nel fiume profondo e pericoloso, bensì in un piccolo canale che collegava il fiume all’idrovora del Bacino di bonifica.

Noi, i futuri amici dei Portici, eravamo però un po’ delicati; nessuno di noi voleva entrare in quel canale con il fondo melmoso ove affondavi tutto il piede.

Io ci avevo provato una volta ma  la sensazione di terrore provata nell’affondare il piede in quel fondo , mi aveva definitivamente convinto che non poteva essere quella la “piscina” in cui avrei imparato a nuotare.

Le nostre giornate estive, liberi da obblighi scolastici e da lezioni per casa, all’inizio ci sembravano lunghe , ma presto ci rendevamo conto che in realtà volavano anche troppo in fretta.

Tra giochi vari a casa ora di uno ora di un altro, le lunghe pedalate in bicicletta nelle campagne dei dintorni della città, la ricerca costante di un luogo ove trovare acqua bella, limpida , fresca e, soprattutto, adatta alla nostra imperizia natatoria , facevano volare le giornate.

La nostra ricerca di una piscina naturale che avesse le caratteristiche rispondenti ai nostri gusti cominciò a valle della città. Da ingenui non si era riflettuto sul fatto che a valle avremmo incontrato l’acqua arricchita dagli scarichi fognari della città.

Ma nei primi anni Sessanta chi di noi si preoccupava dell’ambiente e dell’inquinamento ?

Non sapevamo neppure cosa fosse l’ecologia. In quegli anni peraltro gli scarichi fognari urbani non contenevano quella quantità di micidiali sostanze chimiche che avvelenano e intaccano la salute oggi.

Fortunatamente a valle trovavamo solo piccoli canali di bonifica, la cui acqua si intorbidiva appena fossimo entrati e avessimo toccato con i piedi il fondo fangoso.

Spostammo allora  la ricerca verso nord a monte della città.

Ricerca tranquilla, collegata ai quotidiani giri in bicicletta per le campagne.

Il solito amico, studente dell’Istituto tecnico,  volle dimostrare la sua conoscenza in materia idraulica.

Ci spiegò che a monte della città c’erano dei punti in cui dal fiume principale si deviavano piccoli corsi d’acqua, che percorrevano poi la zona di campagna sparendo dalla vista dei percorsi stradali. Dovevamo addentrarci in stradine di campagna e identificare il percorso.

L’acqua avrebbe dovuto essere limpida perché in movimento e non stagnante come quella di bacino.

Iniziò la ricerca, ci addentrammo tra i campi e riuscimmo a descrivere il percorso dell’”emissario” del fiume.  Entrammo nei campi e trovammo l’emissario ma, con nostra grande delusione, era pieno d’alghe e affondavi comunque i piedi sul fondo.

Un giorno decidemmo di deviare dalla strada di campagna principale per immetterci in una stretta stradina mai percorsa  perchè pensavamo  fosse privata; portava  infatti ad una grande casa colonica con annessa chiesetta visibile in lontananza.

I nostri calcoli ci avevano convinto che tra la strada principale e la casa colonica  doveva passava il famoso “emissario”.

Percorremmo poco più di un centinaio di metri e dopo una leggera curva, nascosto dalla vegetazione arrivammo ad un ponticello.

Eureka! Pronunciammo noi liceali, per far pesare la nostra formazione scolastica al “perito idraulico”.

In effetti avevamo trovato ciò che cercavamo.

Un tratto del canale, una decina di metri  prima e dopo il ponte , aveva sponde e fondo in cemento che si vedevano bene perché senza alghe e mantenute pulite dalla limpida acqua corrente.

“La nostra Bassano”  esclamò il nuotatore.

In effetti poteva sembrare un angolo di piscina.

Decidemmo subito che bisognava dare un nome alla nostra scoperta e il nome piscina non piaceva perché troppo generico.

“Chiamiamolo Mare”  , disse uno.

“troppo generico” rispondemmo in coro.

“Marina” propose un altro.

“ meglio, ma ancora  generico” fu il nostro commento

Marinaretti, la marina di noi scolaretti” esclamò il primo.

“Ottimo, questi saranno i nostri Marinaretti” concludemmo  tutti concordi.

Bisognava ora risolvere una questione organizzativa non da poco: non avevamo costumi da bagno, non potevamo portare da casa asciugamani perché l’acqua del fiume era vietata per noi “bambini”, dovevamo accertare di non essere dentro una proprietà privata per non ripetere l’esperienza del frutteto ( ma questa è un’altra storia).

Il desiderio di provare subito il piacere di quell’acqua era  però grande.

“ Entriamo nudi !“ esclamò uno.

“ E se quelli della casa passano e ci vedono?” rispose un altro.

In realtà , anche se eravamo solo maschi, nessuno aveva il coraggio di farsi vedere nudo dagli altri.

Decidemmo di entrare in mutande. Per rientrare a casa le avremmo tolte e indossati i pantaloncini senza; poi di nascosto le avremmo asciugate a casa.

E così fu. Quell’estate frequentammo i Marinaretti con costanza. L’acqua non superava il metro d’altezza nel tratto in cemento e quindi si toccava sempre il fondo. Potevamo giocare tranquilli senza pericolo anche senza saper nuotare. L’unico “nuotatore” pretese di darci lezione di nuoto, in realtà senza grandi risultati.

Ognuno fece il percorso personale per imparare a stare a galla. Lo stile più diffuso era il nuoto a cagnaccio: sbattendo mani e piedi si restava a galla per qualche metro.  Le due sponde distavano circa quattro metri e iniziò la gara di chi riusciva a passare da una sponda all’altra senza mettere i piedi a terra. A me piaceva andare sott’acqua per cui provai a tuffarmi e nuotare sotto senza respirare. Ci riuscii con facilità per cui quell’estate sperimenti la mia resistenza nel muovermi in apnea. Non sapevo ancora stare a galla ma riuscivo a stare sotto anche per dieci metri, poi uscivo con la testa un attimo per respirare e ancora sotto.

Non sapevo nuotare ma ero sulla buona strada. A fine estate tutti riuscivamo a stare un pò a galla.  Per un’altra estate i Marinaretti furono la nostra scuola di nuoto e il nostro mare. Imparammo a stare a galla tranquilli pronti per andare con i grandi alla sfida del fiume.

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