IL mistero della DOGA

Penso divertito tra me “io sono una clessidra d’acqua” e come l’acqua consumerò il mio tempo.

IL mistero della DOGA

 

 

Sono in un lago di sudore, le gocce mi scivolano giù dal naso con frequenza crescente.  

Fa veramente caldo qui dentro, ma devo resistere perché dicono faccia bene, serve a liberare le tossine del corpo e della vita. 

Sono solo in questa stretta cabina, non penso a nulla, il pensiero viaggia libero e leggero. Mi sento come una farfalla che scivola sull’aria apparentemente senza meta. 

L’occhio si sofferma sulla clessidra bianca sulla parete scura. 

Osservo i granelli di sabbia che cadono formando una sottile scia continua. 

Sono tanti puntini quasi invisibili, sembrano fatti di nulla, ma pesano, come macigni: hanno il peso del tempo. Guardo quelle due ampolle di vetro contrapposte, i granelli di sabbia che cadono. Nel silenzio ho l’impressione di capire quanto sia impercettibile la distanza tra lo spazio e il tempo. 

Pensieri “pesanti” mentre i granelli di sabbia scendono inesorabili, silenziosi: battono il tempo. 

Di colpo mi accorgo che ogni battito del cuore sembra ritmare la caduta di un granello di sabbia. 

Chiudo gli occhi, non vedo più nulla, sento le gocce di sudore scivolare sulla pelle e poi cadere. Plic plicora il battito del cuore segue il ritmo delle gocce. 

Penso divertito tra me “io sono una clessidra d’acqua” e come l’acqua consumerò il mio tempo. 

Un rumore improvviso mi riporta al presente, si è accesa una ventola, gira un po’ d’aria in questo forno di legno. 

Apro gli occhi, sono sempre solo. 

Devo far passare il tempo e comincio a ruotare gli occhi attorno. 

Passo in rassegna le sfumature diverse del legno, mi inebrio dell’odore intenso che esce dal legno caldo. All’improvviso un segno più marcato ferma il movimento degli occhi. 

Metto a fuoco una doga, proprio sotto la clessidra. 

Mi pare di vedere una scritta, osservo meglio, ci sono dei segni incisi sul legno. 

Mi avvicino, mi sembra di vedere lettere d’alfabeto strano. Osservo meglio, sono lettere greche. Mi sforzo di riandare ai lontani studi liceali. È passato più di mezzo secolo ma riesco ancora a riconoscere le lettere e leggo: 

τ ρ ε χ ε τ ε 

π α ν τ α   ρ ε ι 

ο    κ ο σ μ ο ς    γ υ ρ ι ζ ε ι 

 

TRECHETE 

PANTA REI 

O COSMOS GURIZEI 

 

Leggo ma non capisco il significato. 

Solo Panta rei è famigliare per i miei studi di filosofia: Eraclito, filosofo greco presocratico, ripeteva in fatti questa frase per ricordare che Tutto scorre e il nostro tempo scende via come la sabbia della clessidra. Ripenso per un momento alla sabbia che scende finché finisce e con lei il tempo; poi una mano gira la clessidra e un nuovo tempo riparte; la vita riprende, ma sarà la stessa? 

Ritorno ad osservare la doga. La frase incisa mi ha impressionato. 

Chi l’avrà incisa? 

Che vita racconta la mano che ha segnato il legno? 

Tutto scorre è un monito, ma non capire il senso completo della frase ha causato in me uno strano stato di agitazione e di ansia. Desidero correre a casa, cercare il vocabolario di greco e sperare che la ricerca sia semplice. 

Mi decido, esco, una doccia veloce e corro a casa. 

Vado alla ricerca del mio vecchio vocabolario di greco, il Rocci, che avevo comperato usato negli anni sessanta. 

Cerco nella biblioteca, è vasta, ma abbastanza ordinata. 

Non ci metto molto a trovare il mitico Rocci, un po’ stropicciato ma ancora ricco all’interno di tante pagine “istoriate” in miniatura dai miei appunti segreti di grammatica e sintassi. 

Trovo che τ ρ ε χ ω significa correre, affrettarsi; κ ο σ μ ο ς mondo, universo; γ υ ρ ο ς significa giro. 

Secondo me la frase potrebbe voler dire 

AFFRETTATI 

IL TEMPO SCORRE 

IL MONDO GIRA 

Ma che motivo aveva quell’ignoto incisore di scrivere questa frase, in greco poi, in quella stretta cabina di legno? 

A chi voleva rivolgersi? 

Qual è il senso di questo messaggio. 

Ci ho pensato tutta la sera, facendo mille congetture, senza mai venire a capo di una conclusione che sembrasse plausibile. 

La stanchezza, la tensione, l’agitazione mi avevano stressato, ero sfinito.  

Sono crollato nel sonno.  

Vedevo una mano prendere un taglierino, far saltare schegge di legno per l’incisione, poi la stessa mano ripassare con una punta infuocata la scritta. 

Poi la mano alzava l’indice ad indicare me, mentre una voce lontana mi incitava: 

Affrettati 

Il tempo scorre 

Il mondo gira. 

Io cercavo di identificare il volto che pronunciava quelle parole. Nulla. 

Mi sono svegliato con una strana sensazione, quasi il presentimento che dovesse succedere qualcosa. 

Ho bisogno d’aria fresca. 

Apro la finestra. 

Dov’è il mio giardino? Le aiuole ben curate, i fiori con le loro mille sfumature di colore, il vialetto con il ghiaino candido e la fontana, gli uccelli che volano tra gli alberi. 

Dov’è l’orizzonte con le montagne dalle cime innevate. 

Dove sono i viali alberati e il campanile svettante sul fondo? 

Mi gira la testa, chiudo gli occhi, mi do un pizzicotto. Ahi, non sto sognando.  

Riapro gli occhi, guardo fuori: dov’è andato il mio mondo? 

Gira tutto così veloce che ogni cosa scompare, i colori si fondono in un unico colore biancastro, il silenzio è assoluto. 

Resto immobile, in silenzio. 

L’ultimo granello di sabbia della clessidra cade ora: fragoroso silenzio! 

Il messaggio lasciato dalla mano ignota sulla doga di quella comune cabina di legno è arrivato troppo tardi. 

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