A Brera nella fucina di Hayez

Milano. Sono gli ultimi giorni (fino al 21 gennaio) per visitare la mostra dedicata ad Hayez all’Accademia di Belle Arti di Brera, parte integrante del percorso della mostra alle Gallerie d’Italia, con la quale condivide infatti il catalogo edito da Silvana. La sezione di Brera è infatti dedicata al «Laboratorio di un pittore», in quanto Hayez, poco dopo esser giunto da Venezia, trascorse in quel luogo lunghi anni, prima come supplente di Luigi Sabatelli, ma con un ruolo già di gran rilievo nell’illustre istituzione, poi dal 1850 come professore della Scuola di Pittura, per rimanervi fino alla morte nel 1882. L’assetto di quello che fu il suo studio è assai mutato, essendo ora spazio destinato alla didattica, ma la mostra allestita nel Salone Napoleonico, curata da Francesca Valli con l’allestimento di Domenico Nicolamarino, intende restituire più che l’ambiente stesso, essendo ormai disperse gran parte delle suppellettili che lo arredavano, il senso di fucina, di laboratorio appunto, delle idee che portavano poi alla creazione dei capolavori esposti nella mostra curata da Fernando Mazzocca, a pochi isolati dall’Accademia di Brera.

Il percorso non è cronologico infatti, ma tematico: un breve ma intenso e suggestivo viaggio che traduce proprio l’impressione dell’opera nel suo farsi, accompagnata da rimandi alla temperie culturale nella quale il grande maestro si muoveva, con le fonti letterarie cui attingeva, testimoniate dalla sua nutrita biblioteca, lo stretto rapporto con la scena e l’importanza del melodramma (ricordiamo che Hayez era fin dal 1843 nella commissione incaricata di esaminare i bozzetti scaligeri).

La suddivisione segue quella degli argomenti affrontati nei saggi in catalogo dalla stessa Valli, poi da Chiara Nenci, Laura Lombardi, Valter Rosa, Roberto Cassanelli, che indagano le diverse componenti dell’immaginario, ma anche del metodo di Hayez: «La figura» innanzitutto con «I modelli di scultura»; poi le «Storie», «L’abecedario veneziano. Hayez da Tiziano»; «I soggetti. Un’enorme suppellettile di fatti»; «Gli affetti. Soggetti di espressione»; «I costumi, la scena. Il vivo carattere della repubblica veneta»; «I panneggi. Il manichino per le pieghe» per chiudere con i «Ritratti e gli Autoritratti, dal disegno alla fotografia».

Troviamo dunque bozzetti, dipinti, tra cui l’inedito «Incontro di Maria Stuarda con Elisabetta nel parco di Fotheringhary» del 1827 (di cui esistono gli schizzi preparatori nei carnet), fino alle opere più tarde, ancora conservate all’Accademia di Brera (sebbene alcune di queste siano invece esposte nella sede delle Gallerie d’Italia in piazza della Scala), ed anche quelle incompiute, poi disegni, libri, stampe. Proprio una parte dei disegni, di diverse dimensioni e stato, dallo studio embrionale alla composizione pronta da tradurre in pittura, provengono dall’ingente corpus conservato nel fondo dell’Accademia di Brera e sono esposti per la prima volta dopo il restauro affidato ai laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, sotto la direzione di Cecilia Frosinini.

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