Palazzo dei Diamanti riparte con Boldini, Previati e De Pisis

I capolavori del Museo Boldini e delle altre raccolte d’arte moderna e contemporanea di Palazzo Massari saranno in mostra a Palazzo dei Diamanti dal 13 ottobre 2012 al 13 gennaio 2013.

L’esposizione di Ferrara presenta una selezione di opere di Boldini, Previati, Mentessi, Minerbi, Boccioni, Melli, Sironi, Funi e De Pisis, ovvero di alcuni tra i più importanti artisti italiani dell’Otto e Novecento.

L’idea della mostra è stata sollecitata dalla chiusura del complesso di Palazzo Massari, che ospita le collezioni delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, in seguito al sisma che nel maggio scorso ha colpito l’Emilia-Romagna. Fino a quando non verranno eseguiti importanti lavori di consolidamento dell’edificio, i tesori d’arte che esso custodiva non saranno fruibili. Di qui la decisione di dare loro visibilità, sia pure temporanea, in un’esposizione a Palazzo dei Diamanti, per sottolineare l’importanza e la qualità del patrimonio di Palazzo Massari ma anche per sensibilizzare alla salvaguardia di questo e di altri beni artistici danneggiati dal terremoto.

Nelle intenzioni del Comune di Ferrara e di Ferrara Arte, i capolavori in mostra diventeranno l’emblema della città: si sta infatti studiando una loro presentazione, dopo questa “prima” ferrarese, in altre sedi espositive italiane.
Per dar spazio a questa rassegna, la mostra su Michelangelo Antonioni, già programmata per il prossimo autunno, è stata posticipata alla primavera 2013 (10 marzo – 9 giugno).

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Palazzo dei Diamanti riparte con Boldini, Previati e De Pisis

I capolavori del Museo Boldini e delle altre raccolte d’arte moderna e contemporanea di Palazzo Massari saranno in mostra a Palazzo dei Diamanti dal 13 ottobre 2012 al 13 gennaio 2013.

L’esposizione di Ferrara presenta una selezione di opere di Boldini, Previati, Mentessi, Minerbi, Boccioni, Melli, Sironi, Funi e De Pisis, ovvero di alcuni tra i più importanti artisti italiani dell’Otto e Novecento.

L’idea della mostra è stata sollecitata dalla chiusura del complesso di Palazzo Massari, che ospita le collezioni delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, in seguito al sisma che nel maggio scorso ha colpito l’Emilia-Romagna. Fino a quando non verranno eseguiti importanti lavori di consolidamento dell’edificio, i tesori d’arte che esso custodiva non saranno fruibili. Di qui la decisione di dare loro visibilità, sia pure temporanea, in un’esposizione a Palazzo dei Diamanti, per sottolineare l’importanza e la qualità del patrimonio di Palazzo Massari ma anche per sensibilizzare alla salvaguardia di questo e di altri beni artistici danneggiati dal terremoto.

Nelle intenzioni del Comune di Ferrara e di Ferrara Arte, i capolavori in mostra diventeranno l’emblema della città: si sta infatti studiando una loro presentazione, dopo questa “prima” ferrarese, in altre sedi espositive italiane.
Per dar spazio a questa rassegna, la mostra su Michelangelo Antonioni, già programmata per il prossimo autunno, è stata posticipata alla primavera 2013 (10 marzo – 9 giugno).

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In mostra a Lucca i fotografi dell’European Photo Exhibition Award

Mentre tutti dissertano sulla crisi del modello comunitario europeo, l’Europa Unita della cultura e dell’arte dimostra di credere ancora in un futuro da costruire e vivere insieme.

Con questo spirito, dodici giovani fotografi europei saranno in mostra, dal 25 novembre 2012 al 6 gennaio 2013 alla Fondazione Banca del Monte di Lucca. Sono quelli selezionati per la prima edizione dell’European Photo Exhibition Award, manifestazione promossa dalla Fondazione Banca del Monte di Lucca (Italia), dalla Fundção Calouste Gulbenkian (Portogallo), Institusjonen Fritt Ord (Norvegia) e Körber-Stiftung (Germania).

L’European Photo Exhibition Award ha individuato i 12 protagonisti della sua prima edizione tra i fotografi che vivono e lavorano in Europa e non solo (oppure principalmente in Europa) con l’obiettivo di promuovere artisti all’inizio di carriera, mettendo loro a disposizione strutture internazionali, stimolandoli a lavorare insieme e a confrontarsi con esperti del settore scelto, a scambiarsi opinioni e condividere i metodi di lavoro.

Gli artisti selezionati per il primo European Photo Exhibition Award sono Catarina Botelho, José Pedro Cortes, Gabriele Croppi, João Grama, Monica Larsen, Frederic Lezmi, Pietro Masturzo, Hannah Modigh, Davide Monteleone, Linn Schröder, Marie Sjøvold, Isabelle Wenzel.
A selezionarli e guidarli in questa esperienza sono i quattro curatori della manifestazione: Rune Eraker (fotografo freelance, Oslo), Sérgio Mah (curatore e sociologo, Lisbona), Enrico Stefanelli (curatore, Lucca) e Ingo Taubhorn (curatore presso la House of Photography / Deichtorhallen, Hamburg), i quali hanno anche il compito di provvedere alla realizzazione della mostra itinerante nelle quattro sedi europee: la House of Photography / Deichtorhallen, Hamburg, la sede in Francia della Fondazione Calouste Goulbenkian, La Fondazione Banca del Monte di Lucca ed il Nobel Peace Center ad Oslo.
“L’intento dell’European Photo Exhibition Award – EPEA in breve – è quello di creare uno spazio nel quale giovani e talentuosi fotografi possano sviluppare e discutere di rilevanti istanze sociali che concernono l’Europa” afferma il curatore italiano Enrico Stefanelli.

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In mostra a Lucca i fotografi dell’European Photo Exhibition Award

Mentre tutti dissertano sulla crisi del modello comunitario europeo, l’Europa Unita della cultura e dell’arte dimostra di credere ancora in un futuro da costruire e vivere insieme.Con questo spirito, dodici giovani fotografi europei saranno in mostra, dal 25 novembre 2012 al 6 gennaio 2013 alla Fondazione Banca del Monte di Lucca. Sono quelli selezionati per …

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PalladioMuseum

Quello che il 4 ottobre, si è inaugurato a Palazzo Barbarano, nel cuore di Vicenza, non è un Museo ma un Museum, il PalladioMuseum.

Non si tratta solo di una differenzazione lessicale. Qui, abbandonata per sempre ogni polverosità legata al termine Museo, si è scelto di proporre ai visitatori italiani e stranieri un “intelligente viaggio emotivo” che inizia prima di varcare il portone del Palazzo palladiano e che prosegue nel territorio e nelle case di chi al Museum c’è stato.

Insieme all’architetto Alessandro Scandurra, Guido Beltramini Howard Burns e tutta l’equipe del CISA Andrea Palladio hanno imboccato una strada che ha pochi precedenti in Italia: quella del museo che già nasce come luogo esperienziale, dove il visitatore entra per condividere una storia che così diventa parte della propria storia.

“Il PalladioMuseum – dichiara Amalia Sartori, presidente del CISA Andrea Palladio – è il compimento delle mostre del Cinquecentenario palladiano, che hanno portato Palladio in Europa e Stati Uniti. Da ottobre in avanti, il mondo che ama Palladio avrà la sua casa a Vicenza”.

I cercatori. Da oltre cinquant’anni la comunità cosmopolita degli studiosi del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza indaga i segreti dell’umile scalpellino divenuto il più influente architetto degli ultimi cinque secoli. Molto è stato scoperto negli archivi e nei musei, ma altrettanto rimane da capire, nel costante procedere della ricerca, che è nemica dei luoghi comuni e delle certezze assodate.
ggio alla scoperta dei capolavori palladiani nel territorio veneto.

Open source. Il PalladioMuseum sarà un luogo fisico e una presenza in rete che opera su più livelli per un pubblico italiano e internazionale (specialisti, studenti, università, appassionati).

Il palazzo. Come luogo fisico, il PalladioMuseum offrirà l’esperienza unica di esplorare una delle più belle dimore urbane palladiane, palazzo Barbarano a Vicenza, l’unico che Palladio riuscì a vedere completamente realizzato sia nell’architettura che negli apparati decorativi. L’esperienza del palazzo sarà costruita come una detective-story, con indizi e colpi di scena.

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PalladioMuseum

Quello che il 4 ottobre, si è inaugurato a Palazzo Barbarano, nel cuore di Vicenza, non è un Museo ma un Museum, il PalladioMuseum.  Non si tratta solo di una differenzazione lessicale. Qui, abbandonata per sempre ogni polverosità legata al termine Museo, si è scelto di proporre ai visitatori italiani e stranieri un “intelligente viaggio emotivo” che inizia prima di varcare il portone del Palazzo palladiano e che prosegue nel territorio e nelle case di chi al Museum c’è stato.  Insieme all’architetto Alessandro Scandurra, Guido Beltramini Howard Burns e tutta l’equipe del CISA Andrea Palladio hanno imboccato una strada che ha pochi precedenti in Italia: quella del museo che già nasce come luogo esperienziale, dove il visitatore entra per condividere una storia che così diventa parte della propria storia. “Il PalladioMuseum – dichiara Amalia Sartori, presidente del CISA Andrea Palladio – è il compimento delle mostre del Cinquecentenario palladiano, che hanno portato Palladio in Europa e Stati Uniti. Da ottobre in avanti, il mondo che ama Palladio avrà la sua casa a Vicenza”. I cercatori. Da oltre cinquant’anni la comunità cosmopolita degli studiosi del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza indaga i segreti dell’umile scalpellino divenuto il più influente architetto degli ultimi cinque secoli. Molto è stato scoperto negli archivi e nei musei, ma altrettanto rimane da capire, nel costante procedere della ricerca, che è nemica dei luoghi comuni e delle certezze assodate. Open source. Il PalladioMuseum sarà un luogo fisico e una presenza in rete che opera su più livelli per un pubblico italiano e internazionale (specialisti, studenti, università, appassionati).

Il palazzo. Come luogo fisico, il PalladioMuseum offrirà l’esperienza unica di esplorare una delle più belle dimore urbane palladiane, palazzo Barbarano a Vicenza, l’unico che Palladio riuscì a vedere completamente realizzato sia nell’architettura che negli apparati decorativi. L’esperienza del palazzo sarà costruita come una detective-story, con indizi e colpi di scena.

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Yoko Ono e le altre. Le donne di Fluxus a Palazzo Magnani

A Fluxus parteciparono, come raramente accade nella storia dell’arte, diverse donne, artiste provenienti da luoghi e percorsi disparati – Yoko Ono, Charlotte Moorman, Alison Knowles, Shigeko Kubota, Takako Saito, Mieko (Chieko) Shiomi – oltre a figure che incrociarono Fluxus nel corso di un cammino artistico e teorico individuale, come Kate Millet, femminista ed attivista, Simone Forti e Carolee Schneemann attive al Judson Dance Theater di New York all’inizio degli anni Sessanta.
Ed è proprio da questa angolazione, ampliata ad una ricostruzione genealogica dell’intero percorso artistico, che la mostra WOMEN IN FLUXUS & Other Experimental Tales – promossa dalla Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia dal 10 novembre al 10 febbraio – intende raccontare la storia e la filosofia Fluxus. Due saranno i percorsi tematici di lettura proposti dall’esposizione: da un lato l’aspetto (proto)concettuale del fenomeno sperimentale, già implicito nel termine ‘Concept Art’ coniato da Henry Flynt che prese corpo nei concerti di Musica Antiqua et Nova (s)coordinati da George Maciunas nella AG Gallery (New York, 1961); dall’altro, la selezione di opere di artiste che indaga(ro)no, parallelamente all’implicita critica al sistema dell’arte, nuovi concetti di identità considerando il ruolo e pertanto l’immagine femminile come prodotti dalla realtà sociale e culturale – identità non più solo scritte, ma anche scriventi, in senso linguistico e performativo.

Tra le molte mostre che in Europa ma anche in Asia e in America del Nord sono dedicate a Fluxus nel cinquantesimo della sua nascita ufficiale (al festival di Wiesbaden nel 1962) e in occasione del centenario della nascita di John Cage (Los Angeles 1912 – New York 1992), questa di Reggio Emilia riveste quindi un carattere di autonomia e novità. “È una mostra che proprio qui ha la sua ragione d’essere”, chiarisce la Presidente della Fondazione Palazzo Magnani Avde Iris Giglioli. “In questo territorio, infatti, tra Reggio Emilia e Cavriago, ebbe vita per un ventennio uno dei poli del gruppo, intorno all’attività editoriale e di organizzazione di eventi Pari&Dispari di Rosanna Chiessi. Qui arrivano tutti i grandi protagonisti europei di Fluxus, proponendo, all’insegna di Tutto è arte, azioni dirompenti che restano ancora ben vive nei racconti di paese. E, per sottolineare il taglio critico scelto dalla mostra di Palazzo Magnani, non a caso a guidare a Cavriago questa colonia di artisti e intellettuali è stata una donna Rosanna Chiessi”.

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Yoko Ono e le altre. Le donne di Fluxus a Palazzo Magnani

A Fluxus parteciparono, come raramente accade nella storia dell’arte, diverse donne, artiste provenienti da luoghi e percorsi disparati – Yoko Ono, Charlotte Moorman, Alison Knowles, Shigeko Kubota, Takako Saito, Mieko (Chieko) Shiomi – oltre a figure che incrociarono Fluxus nel corso di un cammino artistico e teorico individuale, come Kate Millet, femminista ed attivista, Simone Forti e Carolee Schneemann attive al Judson Dance Theater di New York all’inizio degli anni Sessanta.
Ed è proprio da questa angolazione, ampliata ad una ricostruzione genealogica dell’intero percorso artistico, che la mostra WOMEN IN FLUXUS & Other Experimental Tales – promossa dalla Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia dal 10 novembre al 10 febbraio – intende raccontare la storia e la filosofia Fluxus. Due saranno i percorsi tematici di lettura proposti dall’esposizione: da un lato l’aspetto (proto)concettuale del fenomeno sperimentale, già implicito nel termine ‘Concept Art’ coniato da Henry Flynt che prese corpo nei concerti di Musica Antiqua et Nova (s)coordinati da George Maciunas nella AG Gallery (New York, 1961); dall’altro, la selezione di opere di artiste che indaga(ro)no, parallelamente all’implicita critica al sistema dell’arte, nuovi concetti di identità considerando il ruolo e pertanto l’immagine femminile come prodotti dalla realtà sociale e culturale – identità non più solo scritte, ma anche scriventi, in senso linguistico e performativo.

Tra le molte mostre che in Europa ma anche in Asia e in America del Nord sono dedicate a Fluxus nel cinquantesimo della sua nascita ufficiale (al festival di Wiesbaden nel 1962) e in occasione del centenario della nascita di John Cage (Los Angeles 1912 – New York 1992), questa di Reggio Emilia riveste quindi un carattere di autonomia e novità. “È una mostra che proprio qui ha la sua ragione d’essere”, chiarisce la Presidente della Fondazione Palazzo Magnani Avde Iris Giglioli. “In questo territorio, infatti, tra Reggio Emilia e Cavriago, ebbe vita per un ventennio uno dei poli del gruppo, intorno all’attività editoriale e di organizzazione di eventi Pari&Dispari di Rosanna Chiessi. Qui arrivano tutti i grandi protagonisti europei di Fluxus, proponendo, all’insegna di Tutto è arte, azioni dirompenti che restano ancora ben vive nei racconti di paese. E, per sottolineare il taglio critico scelto dalla mostra di Palazzo Magnani, non a caso a guidare a Cavriago questa colonia di artisti e intellettuali è stata una donna Rosanna Chiessi”.

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Le galassie minute e colorate di Antonio Sanfilippo

Alle FAM di Agrigento le galassie minute e colorate di Antonio Sanfilippo
Numerosi inediti per il tributo delle Fabbriche Chiaramontane a uno dei maestri dell’Astrattismo italiano

A più di vent’anni di distanza dalle ultime grandi personali siciliane di Erice e Taormina, a trenta dalla mostra di Gibellina e dopo l’ampio omaggio tributatogli dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna (GNAM) di Roma nell’anno della sua scomparsa, Antonio Sanfilippo (1924-1980), uno dei più grandi interpreti dell’Astrattismo in Italia, torna in Sicilia con una mostra alle Fabbriche Chiaramontane di Agrigento, dal 27 ottobre al 13 gennaio 2013, dal titolo “Antonio Sanfilippo | Gli anni Sessanta. Il colore del segno”.
Un tributo al maestro siciliano fortemente voluto per le FAM da Antonino Pusateri, Presidente dell’Associazione Amici della Pittura Siciliana dell’Ottocento, che ne ha affidato la cura al critico e storico dell’arte Fabrizio D’Amico. Attraverso un lungo e puntuale lavoro di studio e ricerca viene presentata, dalla data inaugurale del 27 ottobre, un’esposizione ricca di spunti e contributi: in mostra un nucleo consistente dei lavori che Sanfilippo inviò alla Biennale di Venezia del 1966, oltre a numerose opere documentate in importanti mostre degli anni Sessanta in Italia e all’estero, oggi di proprietà di musei pubblici e di collezionisti privati. Un’indagine che, per la prima volta, mette in luce con larghezza e con sguardo esclusivo il tempo della piena e più colma maturità di Sanfilippo: quegli anni Sessanta nel corso dei quali l’artista venne individuato in Italia e all’estero come una delle personalità fondative dell’arte astratta italiana.

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Le galassie minute e colorate di Antonio Sanfilippo

Alle FAM di Agrigento le galassie minute e colorate di Antonio Sanfilippo
Numerosi inediti per il tributo delle Fabbriche Chiaramontane a uno dei maestri dell’Astrattismo italiano

A più di vent’anni di distanza dalle ultime grandi personali siciliane di Erice e Taormina, a trenta dalla mostra di Gibellina e dopo l’ampio omaggio tributatogli dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna (GNAM) di Roma nell’anno della sua scomparsa, Antonio Sanfilippo (1924-1980), uno dei più grandi interpreti dell’Astrattismo in Italia, torna in Sicilia con una mostra alle Fabbriche Chiaramontane di Agrigento, dal 27 ottobre al 13 gennaio 2013, dal titolo “Antonio Sanfilippo | Gli anni Sessanta. Il colore del segno”.
Un tributo al maestro siciliano fortemente voluto per le FAM da Antonino Pusateri, Presidente dell’Associazione Amici della Pittura Siciliana dell’Ottocento, che ne ha affidato la cura al critico e storico dell’arte Fabrizio D’Amico. Attraverso un lungo e puntuale lavoro di studio e ricerca viene presentata, dalla data inaugurale del 27 ottobre, un’esposizione ricca di spunti e contributi: in mostra un nucleo consistente dei lavori che Sanfilippo inviò alla Biennale di Venezia del 1966, oltre a numerose opere documentate in importanti mostre degli anni Sessanta in Italia e all’estero, oggi di proprietà di musei pubblici e di collezionisti privati. Un’indagine che, per la prima volta, mette in luce con larghezza e con sguardo esclusivo il tempo della piena e più colma maturità di Sanfilippo: quegli anni Sessanta nel corso dei quali l’artista venne individuato in Italia e all’estero come una delle personalità fondative dell’arte astratta italiana.

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Le donne artiste del Seicento, Artemisia e le altre alla Biennale di Antiquariato

LA DONNESCA MANO
Donne artiste tra il XVI e il XVIII secolo:
Sofonisba Anguissola, Fede Galizia, Artemisia Gentileschi, Maria Luigia Raggi e Virginia da Vezzo

L’organizzazione, all’interno della Biennale Internazionale di Antiquariato di Roma, di una mostra dedicata ad alcune delle donne artiste italiane più significative dell’età moderna rappresenta un primo importante segnale di attenzione da parte del mercato nei confronti di una pittura di genere, tenuta ingiustamente in scarsa considerazione per decenni. La “mostra dossier”, curata da Consuelo Lollobrigida è dunque un omaggio al genio femminile, illustrato attraverso un percorso di una quindicina di opere allestite in una sala del primo piano di Palazzo Venezia.

Con l’eccezione di alcune figure “classiche”, come Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana o Giovanna Garzoni, lo sguardo dell’antiquario e dello studioso non si è mai spinto oltre. In realtà, la presenza delle donne nella pittura, nella scultura e nell’architettura nel XVI, XVII e XVIII secolo era un fenomeno più frequente di quanto si pensi.
A Roma una pratica artistica al femminile si ufficializza molto presto, nel 1608, quando l’Accademia di San Luca ammette alla frequenza dei corsi anche le donne, consentendo loro un percorso educativo simile ai colleghi uomini.
In breve tempo, anche le altre accademie d’Italia e d’Europa – la Clementina a Bologna e quella di Francia – si allineano a quella romana e la pratica artistica femminile diventa, non più sporadica o occasionale, ma sempre più connotata da una decisa impronta professionale.
In questa mostra si raccolgono alcune testimonianze figurative di Sofonisba Anguissola, Fede Galizia, Artemisia Gentileschi, Maria Luigia Raggi e Virginia da Vezzo, ponendo all’attenzione del pubblico importanti lavori di donnesca mano, così come sarebbero stati definiti da Giorgio Vasari, che a una scultrice, Properzia de’ Rossi, dedica una delle Vite del suo lavoro di critico.

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Le donne artiste del Seicento, Artemisia e le altre alla Biennale di Antiquariato

LA DONNESCA MANO
Donne artiste tra il XVI e il XVIII secolo:
Sofonisba Anguissola, Fede Galizia, Artemisia Gentileschi, Maria Luigia Raggi e Virginia da Vezzo

L’organizzazione, all’interno della Biennale Internazionale di Antiquariato di Roma, di una mostra dedicata ad alcune delle donne artiste italiane più significative dell’età moderna rappresenta un primo importante segnale di attenzione da parte del mercato nei confronti di una pittura di genere, tenuta ingiustamente in scarsa considerazione per decenni. La “mostra dossier”, curata da Consuelo Lollobrigida è dunque un omaggio al genio femminile, illustrato attraverso un percorso di una quindicina di opere allestite in una sala del primo piano di Palazzo Venezia.

Con l’eccezione di alcune figure “classiche”, come Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana o Giovanna Garzoni, lo sguardo dell’antiquario e dello studioso non si è mai spinto oltre. In realtà, la presenza delle donne nella pittura, nella scultura e nell’architettura nel XVI, XVII e XVIII secolo era un fenomeno più frequente di quanto si pensi.
A Roma una pratica artistica al femminile si ufficializza molto presto, nel 1608, quando l’Accademia di San Luca ammette alla frequenza dei corsi anche le donne, consentendo loro un percorso educativo simile ai colleghi uomini.
In breve tempo, anche le altre accademie d’Italia e d’Europa – la Clementina a Bologna e quella di Francia – si allineano a quella romana e la pratica artistica femminile diventa, non più sporadica o occasionale, ma sempre più connotata da una decisa impronta professionale.
In questa mostra si raccolgono alcune testimonianze figurative di Sofonisba Anguissola, Fede Galizia, Artemisia Gentileschi, Maria Luigia Raggi e Virginia da Vezzo, ponendo all’attenzione del pubblico importanti lavori di donnesca mano, così come sarebbero stati definiti da Giorgio Vasari, che a una scultrice, Properzia de’ Rossi, dedica una delle Vite del suo lavoro di critico.

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