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Giuseppe Tassi

Il mammut della Berezovka

È arrivato fino a noi per svelarci un pezzo di preistoria e per farci riflettere sulla potenza devastante della natura

Il mammut della Berezovka

 

South Australian government photographer, CC0, via Wikimedia Commons
South Australian government photographer, CC0, via Wikimedia Commons

 

Nel 1999 ero a San Pietroburgo per una partita di Coppa Uefa fra Zenith e Bologna.
Un’occasione d’oro per andare allo scoperta del mammut della Berezovka.
Le grandi zanne ricurve, il corpo coperto da lunghi peli e quel passo eterno per uscire dalla riva fangosa del fiume.
Il mammut delle Berezovka è un sogno di bambino che si fa realtà, un salto nel tempo lungo diecimila anni.
Sono fra le enormi teche di vetro del museo zoologico di San Pietroburgo.
Finalmente faccia a faccia con quella creatura estinta, che gli uomini primitivi cacciavano per sopravvivere e celebravano nelle loro pitture rupestri.
Sembra puerile commuoversi di fronte ai resti di un pachiderma perso nei ghiacci eterni e magicamente ritrovato nel 1902.
Ma dietro lo sguardo mite del mammut c’è la storia del mondo e il mistero che avvolge il passato del pianeta.
Sono a San Pietroburgo per una partita di calcio.
Conosco già la Prospettiva Nevskij, il museo dell’Hermitage con le sue ricche collezioni e la poesia della Neva, che scorre silenziosa come un grande serpente sotto i piedi della città.
Ma non si può venire fin qui senza vedere lui, il mammut della Berezovka.
Quando riemerse dai ghiacci lungo il fiume, i suoi scopritori rimasero impressionati dal perfetto grado di conservazione: un animale intatto, con pelle, carne, peli e in bocca, sotto le grandi zanne, i resti del suo ultimo pasto a base di ranuncoli.
La leggenda dice che i cani della spedizione si cibarono con le bistecche scavate dai suoi lombi, che la prigione di ghiaccio aveva risparmiato dalla putrefazione.
Ma il vero e grande mistero che mi lega al gigante di San Pietroburgo è la sua incredibile fine, che lo ha reso eterno quel passo disperato per uscire dal fango.
Un cataclisma epocale ha prodotto una glaciazione istantanea in quella terra siberiana che allora non era un regno di ghiaccio.
Per spiegare il fenomeno c’e’ chi scomoda le teorie Maya e lo spostamento ciclico dell’asse terrestre e chi riconduce il gelo improvviso a violente eruzioni vulcaniche con polveri scagliate nel cielo ed oscurare il sole.
Comunque sia, quell’animale è arrivato fino a noi per svelarci un pezzo di preistoria e per farci riflettere sulla potenza devastante della natura.
É bello essere qui davanti a lui e abbandonarsi alla vertigine del tempo.

 

Di Giuseppe Tassi

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