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Giuseppe Tassi

Pelè O’ Rey compie 80 anni

Pelè era talento puro, sposato a qualità fisiche eccezionali, un concentrato di classe

Pelè O’ Rey compie 80 anni

Atr1992, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons
Atr1992, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Il 23 ottobre il grande Pelé compie 80 anni.

Ho avuto la fortuna di vederlo giocare e di intervistarlo.
Gli dedico questa personalissima celebrazione che parte da Messico ’70, un mondiale indimenticabile per la mia generazione.
Il ricordo più nitido di Pelè giocatore è impresso nella retina di milioni di italiani.

‘O Rey che vola altissimo sopra la testa di Burgnich, quasi appeso a un ramo immaginario spuntato dal cielo.

Sembra fermo nell’aria, il campione brasiliano, sospeso in un istante eterno che precede l’impatto con il pallone.
Burgnich ha cosce che sembrano querce, ma la sua elevazione lo lascia mezzo metro sotto l’inarrivabile.
La palla finisce in gol alle spalle di un Albertosi esterrefatto e l’Italia di Valcareggi capisce subito che amaro sapore avrà la finale mondiale di Messico ’70.
Quel gol e quella partita consegnarono la Coppa Rimet al Brasile e consacrarono in modo definitivo la stella di Pelè, protagonista di quei tre mondiali vittoriosi degli oroverde: rivelazione assoluta nel 1958 in Svezia con i suoi gol e i tanti sombreri (la palla passata sopra la testa dell’avversario in piena area avversaria), grande assente per infortunio nel ’62 in Cile, sostituito da Amarildo, e poi leader dei tricampeones nel 1970.
Pelè era talento puro, sposato a qualità fisiche eccezionali, un concentrato di classe con gambe e muscoli di caucciù, capaci di produrre scatti brucianti, finte e dribbling con naturalezza assoluta.
Ma al genio calcistico Pelè seppe abbinare una dedizione quasi religiosa al lavoro sul campo che gli ha consentito di giocare fino ai 40 anni, chiudendo la carriera nei Cosmos di New York, fra tanti assi europei richiamati dai dollari alla corte del soccer.
Stella indiscussa del Santos e della nazionale, Pelè aveva pure un sorriso disarmante, una comunicativa naturale che ne ha fatto per decenni l’uomo immagine della Fifa, un simbolo vivente del calcio.

Gli oltre mille gol, i titoli mondiali, gli scudetti e le coppe erano parte della leggenda, ma la vera icona era il suo volto immutabile e quel fisico asciutto, quasi insensibile al passare degli anni.

L’ho intervistato l’ultima volta a Bologna in una dei suoi passaggi promozionali in Europa nel 2001.
Era un fantastico sessantenne che di anni ne dimostrava quaranta.
Affabile, semplice, sempre aperto al sorriso.
Un campione vero, accessibile, figlio di un paese come il Brasile che per il calcio delira.
Fra le stelle di sempre forse è proprio lui la più fulgida, insidiato da Alfredo di Stefano, la Saeta Rubia del Real Madrid e da Diego Maradona, lo scugnizzo argentino che gli ha conteso lungamente il trono del più grande.
Fantastico animale da calcio Diego, dotato di un istinto inarrivabile, di un talento unico.

Ma il simbolo del calcio rimane Pelè, O’ Rey: benedetto dagli dei ma capace di essere uomo fino in fondo.

 

Di Giuseppe Tassi

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