Uno dei musei francesi più famosi, il Museo d’Orsay di Parigi, è presente alla 59^ Biennale di Venezia con una mostra collaterale organizzata in collaborazione con la Fondazione Cini di Venezia.
Nella sede della Fondazione nell’isola di San Giorgio Maggiore si è infatti aperta in contemporanea con l’inaugurazione della Biennale la mostra An Archeology of Silence dell’artista statunitense Kehinde Wiley.
Nato a Los Angeles nel 1977 Kehinde Wiley è un artista figurativo molto attivo sul fronte dei diritti degli afroamericani, che deve la notorietà al suo ritratto di Barack Obama.
Ispirandosi ai famosi ritrattisti della storia dell’arte l’artista immortala personaggi di colore.
Uomini di strada o star della contemporaneità, sono sempre rappresentati in pose maestose su sfondi colorati e intricati con evidenti riferimenti alla pittura rinascimentale e barocca ma anche all’architettura islamica e al design africano.
Per la mostra di Venezia Wiley mette in luce la brutalità̀ del passato coloniale, americano e globale, usando il linguaggio figurativo dell’eroe caduto.
Inizialmente ispirata al dipinto di Holbein Il Cristo morto nella tomba, nonché dipinti e sculture storici di guerrieri caduti e figure nello stato di riposo, Wiley ha creato una serie inquietante di corpi neri, riconcettualizzando le forme pittoriche classiche per creare una versione contemporanea della ritrattistica monumentale, che risuona di violenza, dolore e morte, oltre che di estasi.
Le opere in mostra alla Cini sono un invito a meditare sulla morte dei giovani neri uccisi in tutto il mondo.
Il senso del titolo della mostra rimanda infatti ad una “archeologia” che egli porta alla luce com’è evidenziato dalle sue stesse parole: lo spettro della violenza della polizia e del controllo dello stato sui corpi di giovani neri in tutto il mondo.
I nuovi ritratti mostrano giovani uomini e donne neri in posizioni di vulnerabilità̀ che raccontano una storia di sopravvivenza e resilienza, rivelando la bellezza che può emergere dalla tragedia.
Le loro pose sono mutuate da fonti storiche dell’arte dell’Europa occidentale che evocano la metafora della giovinezza e della resilienza, e si ergono come monumenti alla resistenza e alla perseveranza di fronte alla ferocia, incorporando una scala che spinge oltre il mero corporeo e nel regno di icone spirituali, di martiri e santi.