PROSPETTIVE

Angelo Tabaro

Angelo Tabaro

La guerra e le convenzioni internazionali in materia di Beni culturali

La protezione del patrimonio culturale in casi di conflitto armato

La guerra e le convenzioni internazionali in materia di Beni culturali

La guerra e le convenzioni internazionali in materia di Beni culturali

Il 14 maggio 1954, 48 stati del mondo hanno siglato all’Aia la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale in casi di conflitto armato.

Aperta alla firma di ratifica attualmente la Convenzione è stata ratificata da oltre 133 stati tra cui la Federazione Russa e l’Ucraina, che peraltro risultavano anche tra i 48 stati  primi firmatari della Convenzione stessa.

La convenzione disciplina le modalità di protezione dei beni culturali in casi di guerra e considera Beni culturali ( articolo 1):

  1. a) i beni, mobili o immobili, di grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli, come i monumenti architettonici, di arte o di storia, religiosi o laici. Sono oggetto della suddetta anche le località archeologiche, i complessi di costruzione che, nel loro insieme, offrono un interesse storico o artistico. Ci sono poi le opere d’arte, i manoscritti, libri e altri oggetti d’interesse artistico, storico, o archeologico; nonché le collezioni scientifiche e le collezioni importanti di libri o di archivi o di riproduzione dei beni sopra definiti;
  2. b) gli edifici la cui destinazione principale ed effettiva è di conservare o di esporrei beni culturali mobili definiti al capoverso a), quali i musei, le grandi biblioteche, i depositi di archivi, come pure i rifugi destinati a ricoverare, in caso di conflitto armato, i beni culturali;
  3. c) i centri comprendenti un numero considerevole di beni culturali detti “centri monumentali”.

In particolare, l’art. 4 della convenzione internazionale impegna gli stati contraenti a:

  • a rispettare i beni culturali, situati sia sul loro proprio territorio, che su quello delle Alte Parti Contraenti, astenendosi dall’utilizzazione di tali beni, dei loro dispositivi di protezione e delle loro immediate vicinanze, per scopi che potrebbero esporli a distruzione o a deterioramento in casi di conflitto armato, ed astenendosi da ogni atto di ostilità̀ a loro riguardo.
  • a proibire, a prevenire e, occorrendo, a far cessare qualsiasi atto di furto, di saccheggio o di sottrazione di beni culturali sotto qualsiasi forma, nonché qualsiasi atto di vandalismo nei riguardi di detti beni. Essi si impegnano ad astenersi dal requisire i beni culturali mobili situati nel territorio di un’altra Alta Parte Contraente.
  • ad astenersi da ogni misura di rappresaglia diretta contro beni culturali.

Inoltre, le parti contraenti si impegnano ad inculcare fin dal tempo di pace nel personale delle loro forze armate, uno spirito di rispetto verso la cultura ed i beni culturali di tutti i popoli.

Visto che Russia e Ucraina hanno aderito e ratificato questa convenzione internazionale, parrebbe lecito pensare che oggi, che sono in guerra, rispettino questi impegni.

Purtroppo, non è così.

La guerra fa dimenticare tante regole e di certo i soldati mandati al fronte o quelli incaricati di orientare i missili non pare abbiano avuto alcuna informazione di questi impegni presi di fronte al consenso internazionale dai loro governanti.

È chiaro che di fronte ad un conflitto l’attenzione dell’opinione pubblica sia rivolta quasi esclusivamente alle conseguenze immediate del conflitto sulle persone, in termini di perdite umane, di distruzione di abitazioni e infrastrutture. In questi 11 mesi di conflitto in Ucraina poco o nulla si è riferito sui danni che la guerra ha prodotto e continua a produrre sui Beni culturali dell’Ucraina, paese aggredito.

Poche sono le notizie sulle conseguenze che l’azione militare dei Russi nei territori ucraini ha nei confronti dei beni culturali dell’Ucraina.

Molti sono i crimini compiuti dalla Russia in Ucraina. Dalla distruzione di infrastrutture civili con missili e razzi, ai bombardamenti, e ovviamente alle violenze e alle torture sui civili, ampiamente e quotidianamente riportati nella stampa internazionale. Oltre a ciò c’è anche l’esteso e sistematico saccheggio di alcune delle più importanti, prestigiose e antiche istituzioni culturali del paese, e il furto di migliaia di opere d’arte che, secondo gli esperti, sarebbe la più grande razzia di opere d’arte dai tempi dei nazisti.

Nel corso di questi mesi di guerra la Russia ha compiuto razzie nei musei di diverse città orientali occupate per citare alcuni dei casi più rilevanti.

Uno dei furti più grossi è stato quello compiuto lo scorso ottobre al Museo d’arte regionale di Kherson dove i soldati russi sono entrati in massa, hanno staccato dai muri dipinti e sottratto oggetti dalle teche da esposizione. Li hanno poi impacchettarli in fretta in grossi fogli di cartone e portarli via caricando e ammucchiando quadri e opere sui propri mezzi “come se fosse spazzatura”.

Un’altra razzia di opere d’arte piuttosto estesa è stata compiuta a Melitopol, città dell’Ucraina meridionale. Qui i soldati russi si sono presentati al Museo insieme a un uomo vestito con un camice bianco e dei guanti, che con la protezione dei soldati ha delicatamente sottratto tutti gli oggetti più preziosi della collezione, tra cui gioielli d’oro realizzati oltre 2mila anni fa, per portarli chissà dove.

Ci sono poi gli irreparabili danni che al patrimonio culturale arriva dai missili lanciati contro le città ucraine, dove le autorità locali non hanno avuto modo di difendere i loro beni artistici.

Alcune delle immagini che più circolavano soprattutto all’inizio della guerra erano le statue coperte di sacchi di sabbia nelle piazze di molte città ucraine. Tra queste spicca l’immagine della statua di Dante Alighieri a Kiev coperta da sacchi di sabbia per evitare i danneggiamenti dei bombardamenti, a fine marzo del 2022.

Sono però pochi casi e quindi i danni ci sono e continuano.

Purtroppo, anche questo dimostra quanto poco insegni la storia e come neppure le Convenzioni internazionali (e in questo caso la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale in casi di conflitto armato) possano prevalere sugli interessi che causano i conflitti.

 

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