L’esordio nel film noir americano (1945-50)

CAPITOLO I  -L’ esordio tra retorica e semiologia

1. L’ esordio nella retorica antica.

L’ arte retorica comprendeva cinque operazioni principali: l’ inventio (“invenire quid dicas”), la dispositio (“inventa disponere”), l’ elocutio (“ornare verbis”), l’ actio (“agere et pronuntiare”) e la memoria (“memoriae mandare”) . L’ inventio, la dispositio e l’ elocutio, riguardando la costruzione del testo più che il modo di porgerlo al pubblico, sono le parti principali, quelle che sono sopravvissute dopo l’ antichità, quando cioé l’ oratoria non era più soltanto oralità ma anche, e poi quasi esclusivamente, scrittura . “Dall’ inventio partono due grandi vie, una logica e l’ altra psicologica: convincere e commuovere” : la prima richiede un apparato logico (probatio) tale da far scaturire la verità di ciò che si vuole dimostrare con la sola forza delle prove e del ragionamento. La seconda consiste invece nel pensare non tanto al messaggio probatorio in sè, ma, in relazione alla sua destinazione, a come ‘muovere’ l’ animo di chi deve riceverlo, facendo leva sulle sue emozioni. Nella dispositio tornano queste due tendenze: delle quattro parti principali che la compongono (l’ esordio, la narrazione o esposizione dei fatti, l’ argomentazione e l’ epilogo ) due vertono sulla trasmissione dei fatti (“rem docere”), la narrazione e l’ argomentazione, e due sull’ appello ai sentimenti dell’ uditorio (“animos impellere”), l’ esordio e l’ epilogo . Nella costruzione del discorso si ha dunque una struttura a chiasmo :

Le due parti esterne del discorso vertono sui sentimenti dell’ uditorio, inquadrando la fase dimostrativa in due momenti “passionali”. L’ esordio dunque ha una caratterizzazione ben precisa nell’ economia del discorso retorico. Il suo scopo, nell’ oratoria giudiziaria e politica, era rendere il giudice, o il pubblico, benevolo, attento e arrendevole : si tratta della captatio benevolentiae , uno dei modelli più stabili di tutto il sistema retorico, codificato ed elaborato fino al Medioevo e usato ancora ai giorni nostri. La casistica dei trattatisti comprende i più svariati modi di ingraziarsi l’ uditorio secondo le circostanze, le occasioni del discorso, la tipologia del pubblico e i fini dell’ oratore . Il concetto di “opportunità” risale alle origini stesse di quest’ arte, nel mondo pitagorico della Magna Grecia del V secolo . L’ esordio comprendeva, oltre la captatio , anche la partitio , l’ annuncio delle ripartizioni che si stanno per adottare, il piano che si seguirà nell’ orazione . Serviva ad attrarre l’ attenzione dell’ uditorio per indurlo a seguire i ragionamenti dell’ oratore, per interessarlo all’ argomentazione che seguirà. L’ esordio quindi, già nelle sue origini retoriche, assume la valenza di un luogo di passaggio, di transizione, sospeso tra la necessità di rendere il pubblico benevolo, vertendo sul suo lato emozionale, e, insieme, interessarlo all’ orazione vera e propria, introducendo la logica della ripartizione. Da una parte, con la captatio , si accentra l’ attenzione su chi parla, e, dall’ altra, con la partitio , sull’ oggetto dell’ orazione, introducendo il momento successivo della presentazione dei fatti: la narrazione.

2. L’ esordio e l’ orizzonte contestuale.

Nell’ antichità il discorso dell’ oratore era preceduto da una solenne cerimonia d’ apertura, con una sua ritualità ben precisa . Oggi definiremmo questa liturgia un elemento paratestuale, ovvero un elemento“che accompagna il testo rimanendone al di fuori” . Una problematica simile, ma più complessa, presenta invece lo statuto delle premesse, delle introduzioni, prefazioni, preamboli e proemi. Aristotele aveva evidenziato le analogie tra i vari generi compositivi: il proemio nel discorso era equivalente al prologo in poesia e al preludio in musica . Com’ è noto il proemio con la protasi, l’ esposizione dell’ argomento e l’ invocazione alla musa, costituiva il modulo fisso d’ esordio dei poemi epici, eroici e cavallereschi. Nei drammi teatrali vi era invece il prologo che aveva la funzione di narrare l’ antefatto e chiarire l’ azione; era personificato nel ruolo stesso di un personaggio e precedeva il parodos, il canto d’ ingresso del coro . Sullo stesso piano si pongono le premesse, introduzioni e prefazioni: possono far parte della cornice del racconto, come accade per l’ Introduzione de I promessi sposi , che presenta gli elementi portanti dell’ intreccio narrativo, o oppure possono contenere spiegazioni sulle scelte compiute dall’ autore, le sue intenzioni o giustificazioni, come nel proemio al Decameron di Boccaccio . Tutti questi elementi fanno parte del testo e della sua costruzione, e quindi, ponendosi al suo avvio, appartengono all’ esordio; tuttavia, per il loro carattere di “accompagnamento”, se ne distanziano, posizionandosi prima di esso . La loro funzione è impostare l’ orizzonte contestuale, ovvero “il rapporto tra come il testo contiene il contesto di chi scrive e come contiene il contesto di chi legge” , favorendo l’ ingresso del lettore nel testo e stabilendo, nello stesso tempo, le condizioni della sua ricezione. Queste parti dell’ esordio palesano tutte, in un modo o in un altro, un narratore, reale o fittizio: determinano quindi il contesto enunciazionale

, definiscono la storia che seguirà come narrata, enunciata da un mittente a un destinatario. L’ inizio manifesta così la costruzione di un lettore possibile, un modello ideale sul quale e per il quale viene organizzato il testo stesso . Gli elementi paratestuali invece non partecipano alla funzione contestuale: si pongono infatti al di fuori del testo e della sua costruzione, anche se hanno un loro indiscutibile valore nel momento della fruizione. Se è sempre possibile stabilire dove cominci l’ esordio, non si può dire con altrettanta precisione dove finisca, almeno per quel che riguarda il testo narrativo: nel paragrafo successivo affronteremo questa problematica cercando di definire un possibile confine tra l’ esordio e l’ intrigo.

3. L’ esordio e l’ intrigo.

Le quattro fasi che nell’ oratoria compongono la dispositio (esordio, narrazione, argomentazione ed epilogo) corrispondono alla tradizionale suddivisione del testo narrativo in esordio, intrigo (o intreccio), scioglimento ed epilogo. Probabilmente, come ha notato Tomasi, questa suddivisione trova la sua più precisa definizione nel personaggio e nel suo agire . L’ esordio ha così il compito di introdurre personaggi, ambienti e motivi del racconto stesso; l’ intrigo è “la rappresentazione delle peripezie del personaggio proteso verso il proprio oggetto valore, (…) è definibile proprio sulla base del rapporto che si instaura tra uno o più personaggi e uno o più oggetti valore” ; lo scioglimento rappresenta il confronto definitivo tra le forze in campo, tra il personaggio e il suo oggetto valore; infine l’ epilogo sarà la rappresentazione del personaggio nel suo nuovo stato, di unione o disgiunzione con l’ oggetto valore. L’ esordio ha quindi il compito di presentare il personaggio e la presentazione del personaggio “ha luogo dal momento in cui costui viene introdotto nel racconto, sino a quando i segmenti del racconto a lui dedicati sono funzionali più a una sua rappresentazione che allo sviluppo del racconto stesso” . Quando cioé il personaggio inizia ad agire provocato da una causa e condotto verso un fine, si può considerare terminato il momento dell’ esordio. Tuttavia i confini tra esordio e intrigo restano difficilmente definibili: spesso implicano un’ area di intersecazione, inoltre la presentazione del personaggio può protrarsi anche oltre il momento dell’ esordio, secondo le necessità diegetiche del racconto. Come ha notato Caprettini “non si può dire a che punto finisca l’ inizio. L’ avvio di un testo, nella sua ricezione, è un rapporto relazionale ‘sui generis’, quello fra un lettore che sta per assumere un’ informazione già strutturata e questa informazione che ha previsto un lettore possibile” .

4. Inizio della storia e inizio del discorso.

La distinzione tra storia e discorso ha trovato la sua più classica formulazione in Benveniste : nella storia “nessuno parla, gli avvenimenti sembrano narrasi da soli” , mentre il discorso è “un modo di enunciazione che presuppone un parlante ed un ascoltatore” . Per Todorov l’ opera letteraria “è storia, nel senso che evoca una certa realtà, avvenimenti che si presume abbiano avuto luogo” , non conta il mezzo attraverso il quale è narrata: potrebbe essere allo stesso modo un film, un racconto scritto o orale. Ma l’ opera è insieme anche discorso: “esiste un narratore che riferisce la storia e di fronte a lui vi è un lettore che la percepisce” . In questo livello, al contrario, non hanno importanza gli avvenimenti narrati ma il modo in cui il narratore ce li ha fatti conoscere. Come ha notato Chatman questo ‘modo’ interessa due realtà ben distinte: la forma narrativa, o meglio la struttura della forma narrativa, e la sua manifestazione, il suo apparire in un medium specifico . Infatti il mezzo attraverso il quale si fornisce l’ informazione ne influenza la forma (il discorso) in modo determinante. Storia e discorso sono strettamente correlati: ogni narrazione è il prodotto di un’ enunciazione. Ma mentre nella narrativa scritta “il discorso inserito nel racconto rimane discorso e costituisce una cisti molto facile da riconoscere e localizzare” per la presenza nella lingua naturale dei deittici, gli indicatori di discorso che designano il locutore e definiscono la posizione del narratore all’ interno della diegesi , nel cinema le marche dell’ enunciazione, se rintracciabili, sembrano rinviare più al linguaggio cinematografico stesso che all’ istanza discorsiva che lo produce . Questa problematica rimanda alla dicotomia diegesi/mimesi, o, in termini moderni, narrare (to tell) / mostrare (to show) . La differenza è tra il racconto in senso proprio e rappresentazione: nell’ enunciato ‘Letizia de Ramolino era la madre di Napoleone’ la verità è indipendente dalla persona che la pronuncia ma risiede nei fatti storici. Invece nella frase ‘Io sono la madre di Napoleone’ o ‘Questa è la madre di Napoleone’ la verità dipende esclusivamente dalla persona che la pronuncia (narrare): i deittici nella lingua naturale codificano e grammaticalizzano i tratti del contesto di enunciazione e dell’ evento comunicativo . Il discorso cinematografico è invece abiguo: “esso contribuisce alla costruzione della diegesi proprio mentre la dichiara come pura finzione cinematografica” . E’ così accade che nell’ esordio, attraverso i titoli di testa (o una voce narrante off), lo spettatore si ritrovi condotto nella finzione proprio attraverso la denuncia palese del meccanismo di finzione (come vedremo nei capitoli III e IV), e ad essere nello stesso tempo spettatore di evento (filmico) e spettatore di finzione . Riassumendo: nell’ esordio dell’ oratoria era già codificata in qualche modo la distinzione tra storia e discorso: al discorso apparteneva la captatio benevolentiae , che faceva appunto leva sul soggetto dell’ orazione; mentre al livello della storia si poneva la partitio , la ripartizione e chiarificazione della trattazione successiva. Sempre al livello del discorso si pongono le introduzioni, premesse, proemi, tutti quegli elementi che, come abbiamo visto, definiscono il contesto enunciazionale della storia, rimandando perciò ad un locutore (reale, come nel Decameron , o fittizio, come ne I promessi sposi ). Nell’ esordio cinematografico le marche dell’ enunciazione sono presenti palesemente nei titoli di testa del film, ma diventa difficile rintracciarle nella narrazione vera e propria: “la particolarità (del cinema classico) è di occultare completamente l’ istanza discorsiva che lo produce, procedendo come se non fosse che la semplice trascrizione di una continuità anteriore e omogenea” . L’ immagine cinematografica può solo dire: “sono cinema” . L’ esordio del film si configura così come avvio del discorso in senso stretto solo attraverso i titoli di testa: una voce narrante off o effetti particolari che riconducano le immagini ad uno statuto particolare, come un sogno o un ricordo, rimandano al problema parallelo della focalizzazione e del punto di vista, di cui parleremo nel capitolo IV. Tuttavia l’ immagine mostra, ed è proprio attraverso il “far vedere” che significa, che si fa discorso: la forma attraverso cui comunica il cinema è l’ immagine, il ‘mostrare’, come la forma della lingua naturale è la parola , il ‘dire’ . Come ha dimostrato Saussure “il significante, essendo di natura auditiva, si svolge soltanto nel tempo ed ha i caratteri che trae dal tempo: a) rappresenta una estensione, e b) tale estensione è misurabile in una sola dimensione: è una linea” . Mentre i significanti acustici formano “una catena in cui l’ orecchio non percepisce alcuna divisione sufficiente e precisa” ,“i segni visivi (…) possono coesistere nello spazio senza confondersi” e “possono offrire complicazioni simultanee su più dimensioni” . L’ immagine è, per sua natura, polisemica. L’ esordio cinematografico quindi fonda il discorso del film, così come ne fonda la storia, la narrazione. Avvio della storia e avvio del discorso sono due elementi inscindibili nell’ inizio cinematografico: il cinema è sempre storia in quanto mostra ed è sempre discorso nel senso che seleziona ed ordina le cose da mostrare o da nascondere. Si fonda sull’ inquadratura che altro non è che una porzione di spazio scelta, ritagliata, che viene investita di un significato aggiunto, connotativo, nel momento in cui, attraverso il montaggio, è messa in relazione con altre inquadrature, scene o sequenze. Come ha sottolineato Caprettini, “ritagliando da un’ immagine uno o più d’ uno dei suoi elementi costitutivi, il significato che ne risulterà non sarà costituito dal significato che l’ immagine aveva prima di operare quel taglio meno quanto è stato ritagliato, bensì sarà il senso complessivo dell’ immagine ad essere compromesso” .

FEDERICO GAROLLA. Gente d’Italia. Fotografie 1948 – 1968
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