Fughe nere tra i Masegni

“Vedi, se cerchi, trovi sempre qualcosa che riempie il tuo futuro”

 

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Sogni, fantasia ed emozioni

 

Evitare di calpestare le fughe tra un masegno e l’altro durante i giochi sulle piazze o sulle strade lastricate del centro storico.

Un gioco o una sfida?
Ma sfida a chi?
Quale la posta in gioco?

Quello che certo non manca alle menti/spugna dei bambini è la fantasia, la capacità di tradurre in situazioni realistiche un mondo immaginario, che entra nelle vene e ti percorre tutto, in ogni flusso di sangue, scivolando sulla pelle liscia, fino a lambire tutti gli estremi del corpo.

E’ la realtà della fiaba che ciascuno costruisce per sé.

Ebbene, nel superare indenni il percorso tra i masegni, senza mai aver toccato e neppure sfiorata la fuga nera che li separa, cresce la gioia della “vittoria”.

La vittoria contro il “maligno” che quei solchi scuri tra le pietre d’Istria della piazza nasconde e che è pronto a colpirti per trasformarti, in cosa? Non ha importanza. Trasformarti in qualcosa d’altro. E’ l’inconscia e innata sensazione descritta da Kafka.

Diventare altro, qualcosa che potrebbe non avere forma o averla, non avere odori o averne di molto forti. Forse all’aspetto non fa neppure paura, ma è “diverso” e lo temi.
Lo temi perché non lo conosci, lo eviti perché non lo capisci, lo sfuggi e a volte ti domandi il perché e non sai darti risposta.

In quelle pietre per terra, irregolari nelle forme e nelle dimensioni, accostate le une alle altre come tessere grandi di un monocromo mosaico stradale c’è il mondo infinito delle nostre fantasie e della nostra immaginazione. Servono a rendere agevole il passo ma nel rapporto tra loro e con gli spazi vuoti sono “disegnati” infiniti mondi, narrate infinite storie reali e surreali.

Masegni pietre magiche, luoghi di incontri e di scontri, nei giochi a rincorrersi a nascondino hanno mostrato tutta la loro durezza su braccia e ginocchia ma anche assistito all’emozione del primo bacio.

Sui Masegni abbiamo assistito alla lotta di due cani sfuggiti al guinzaglio. Sembravano leoni inferociti, il terrore era palpabile, chi avrebbe fermato quei “mostri”?
E’ bastato un richiamo, con voce secca e stentorea, per riportare il silenzio e vedere i leoni trasformarsi in agnelli.

Quante serate d’estate, quelle con la luce viva fino a tardi, ci hanno visto restare su quella piazza a giocare fino al buio e, sempre, quelle pietre e quelle linee scure tra loro facevano compagnia.

Erano irregolari quelle pietre, erano irregolari le distanze dei segni scuri, bisognava correre senza calpestare quella rete nera che copriva tutta la piazza e non era facile.
Per questo il gioco era bello, bisognava mostrare abilità nell’adattare continuamente la corsa, i salti, i movimenti del corpo alle forme sempre diverse.

Poi qualcuno ha pensato che la piazza deve essere bella, ordinata, pulita, coperta da pietre tutte uguali, nella forma e nel colore, a disegnare una rete precisa e regolare.

Ora, presa la misura, è troppo facile superare le pietre senza cadere nel vuoto di pochi millimetri che le separa.

Si spegne il piacere del gioco, non c’è difficoltà, non c’è rischio, non c’è più motivo di costruire storie immaginarie per un pavimento diventato ordinario.

Non ricordo chi ma uno scrittore ha sentenziato “Guardiamoci dall’ordinario
Perché l’ordinario livella, perché l’ordinario assopisce il corpo e la mente, perché l’ordinario è noia e tristezza, perché l’ordinario ci toglie il futuro.

E allora “Guardiamoci dall’ordinario” andiamo alla ricerca delle cose strane, che pure sono attorno a noi e non le vediamo, guardiamo alle cose che sanno ancora provocare stupore, quelle che parlano al cuore e, come voci di un coro, sembrano dire “Vedi, se cerchi, trovi sempre qualcosa che riempie il tuo futuro”.

E allora cerchiamo, cerchiamo il bello, cerchiamo l’innovazione intelligente, cerchiamo ogni cosa che ci aiuti a mantenere vivo il piacere del sogno.

 

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