Eugenio Espinoza è l’artista venezuelano che parte dalla razionalità della griglia e la rimodella e la contamina per conferire alle tele una capacità di “pensare” e di produrre un senso al di fuori del proprio sistema di riferimento.
EUGENIO ESPINOZA. Tre stanze, tre mesi
Dal 10 marzo 2022 la galleria Umberto Di Marino di Napoli presenta la seconda mostra personale dell’artista venezuelano Eugenio Espinoza in galleria, dal titolo Tre stanze, tre mesi.
Nato a san Juan de los Morros nel 1950, Eugenio Espinoza ha studiato presso la Escuela de Artes Plasticas Cristobal Rojas e l’Instituto de Diseno Newmann-Ince di Caracas, formandosi in un contesto di ricerca artistica affascinato dal manierismo proprio dell’astrazione geometrica e dell’arte cinetica.
Espinoza sviluppa dall’inizio degli anni ’70 una pratica che dimostra tutta l’insofferenza e la disillusione nei confronti della deriva modernista e delle incongruenze politiche economiche e sociali che iniziavano a manifestarsi in America Latina.
In Venezuela, paese che a cavallo fra gli anni’60 e ’70 viveva un momento di grande prosperità̀ economica grazie al boom petrolifero, il supporto all’astrazione geometrica divenne una vera e propria manovra di propaganda politica, finalizzata alla consacrazione del paese attraverso un massivo processo di modernizzazione occidentale.
Partendo proprio da quello che è considerato l’emblema della razionalità̀ modernista, la griglia, Eugenio Espinoza la dissacra deformandola e distorcendola continuamente; la taglia, la allarga, la piega contaminandola con tutte quelle “impurità” che provengono dal mondo naturale, dall’utilizzo della tela grezza fino a oggetti di scarto o quotidiani.
Egli spoglia la griglia della sua ferrea rigidità̀ forzando l’opera a un perpetuo processo di risignificazione.
Tre stanze, tre mesi presenta tre iconiche opere degli anni ’70 e altre di recente realizzazione nelle quali l’artista insiste ancora sul sistema-griglia, stavolta in maniera completamente diversa.
Lasciata visibilmente aperta, la griglia dissacrata sembra provenire da un attento studio delle composizioni di Piet Mondrian, di cui però ignora la ricerca di un perfetto equilibrio formale e spirituale.
In questo caso l’attenzione si sposta sulla funzione dei colori nei lavori di Mondrian e sull’inevitabile e irrazionale fascinazione che questi esercitano sullo spettatore.
Sovraccaricando gli spazi vuoti della griglia attraverso il colore e privando l’opera del suo tradizionale supporto, Espinoza si muove alla ricerca non solo di una differente spazialità̀, ma anche verso la possibilità di attribuire altri significati a quell’immobile geometria.
L’opera invita esplicitamente lo spettatore a dubitare della sua composizione perfetta, ad aprirla, trasformandola in un monocromo apparentemente senza confini.