L’idea di rappresentare l’arte contemporanea del proprio paese mettendo assieme e a confronto artisti di diverse generazioni sembra aver ispirato più di un padiglione nazionale alla 59^ Esposizione Internazionale d’arte della Biennale di Venezia.
Forse il tema proposto dalla Direttrice della Biennale Cecilia Alemani Il latte dei sogni, o forse anche il desiderio di ripensare le esperienze e la storia di una comunità, a fronte della consapevolezza della fragilità dell’Umanità causata dalle vicende pandemiche, certo è che il Paese latinoamericano presenta quest’anno il progetto Hasta que los cantos broten (Finché non si eleveranno i canti), riunisce le creazioni di quattro artisti di diverse generazioni: Mariana Castillo Deball, Naomi Rincón Gallardo, Fernando Palma Rodríguez e Santiago Borja.
Il titolo, tratto da un poema di Temilotzin —difensore di Tenochtitlan e amico di Cuauhtémoc— evoca la persistenza delle lotte per difendere un futuro libero da paradigmi egemonici.
L’esposizione esplora le modalità̀ con cui i quattro artisti si accostano a forme di conoscenza non totalmente colonizzate dall’episteme moderno, forme di conoscenza libere dal dominio di quel sapere certo che condiziona l’azione e il comportamento umano.
Gli artisti si sforzano di attualizzare e affermare modi di vita opposti e alternativi rispetto a un principio di progresso antropocentrico.
Le opere esposte approfondiscono transazioni tra culture e forme di conoscenza che non si piegano alla musealizzazione esotizzante delle pratiche dissidenti.
Immaginando futuri decoloniali potenzialmente in grado di affrancarci dalle realtà di oppressione che oggi soffocano forme diversificate di vita umana, non umana e più che umana, Hasta que los cantos broten propone metodologie alternative per sbloccare nuove realtà speculative.