In mostra ad Ascona l’avventura artistica e sentimentale di due grandi pittori che furono protagonisti dell’avanguardia artistica del primo Novecento.
ALEXEJ JAWLENSKY E MARIANNE WEREFKIN. COMPAGNI DI VITA
Per la prima volta una mostra mette a confronto due originali figure di artisti, attraverso 100 opere che ripercorrono le carriere di entrambi, in un arco temporale che dalla fine dell’Ottocento, giunge fino agli anni Trenta del XX secolo.
Il rapporto estremamente complesso che ha legato Alexei Jawlensky (1864–1941) e Marianne Werefkin (1860–1938) si è sviluppato tra il 1892 e il 1921, dagli esordi a San Pietroburgo.
Poi nel 1896 a Monaco di Baviera entrarono nei circoli che erano al centro del dibattito artistico internazionale dell’epoca.
La loro esperienza artistica si libera delle limitazioni del conservatorismo russo per ricominciare su nuove basi e stimoli, affiancata da grandi personalità dell’arte quali Wassily Kandinsky, Paul Klee, Alfred Kubin, Gabriele Münter, Franz Marc, Agust Macke e molti altri.
Furono tra i fondatori della Nuova Associazione degli Artisti di Monaco (1909), premessa alla nascita del Blaue Reiter (1910) e della rivoluzionaria arte astratta del loro amico e compatriota Vassilj Kandinsky.
Seguirono gli anni trascorsi in Svizzera, in particolare nel borgo di Ascona, dove la stessa Werefkin fu attivissima in ambito culturale, nel partecipare alla fondazione del Museo Comunale (1922) e dell’Associazione artistica Der Grosse Bär (1924).
Diverso anche se parallelo fu il loro percorso artistico.
Alexej abbandona negli anni Venti l’Espressionismo che aveva caratterizzato le sue prime esperienze.
Dimentica i colori forti e contrastanti, avviandosi verso l’astrazione che lo avvicina alla tradizione del Misticismo russo e bizantino.
Marianne rimane invece fedele all’espressionismo trasformandolo in una specie di realismo magico incantato, carico di accenti fiabeschi.
I due sono stati molto più di una semplice coppia d’artisti, profondamente connessi dal punto di vista emotivo.
Compagni di vita, legati da un rapporto d’amore eroticamente platonico, che in realtà nascondeva il disagio di lei che, pur di affermarsi in un mondo declinato al maschile, decise di reprimere la sua femminilità in nome dell’arte come missione.